giovedì 12 febbraio 2009

Cacchio cacchio




Il capro espiatorio è una figura sacra. Guai a chi lo scredita: il suo sacrificio rituale assorbe e rappresenta il bisogno di purificazione della comunità intera. Benvenuto, dunque, al Festival di Sanremo, che ogni anno, alla vigilia di primavera, sale sull´altare del ludibrio collettivo, e buono buono, umile umile, si lascia sgozzare tra i fiori e le contumelie. Non esiste chi ne parli bene. Gli intellettuali ne scrutano le viscere riconoscendoci la colpa irredimibile del cattivo gusto popolare, e si radunano a crocchi per sghignazzare, da quei superbi che sono, sulla minorità della cultura di massa. Il popolo assiste lieto alla gogna sfibrante di cantanti e conduttori, vallette e ospiti, come da sempre il pubblico delle esecuzioni, felice del supplizio altrui, e commenta il crollo dei rimmel, l´infortunio estetico, la stecca, la battuta goffa, l´ospite loffio, con consumato cinismo. I cantanti "da Sanremo" ci vanno con finta mansuetudine, come a un tardivo provino imposto dalla professione, in realtà immalinconiti dall´invidiosa coscienza che i più bravi disertano da secoli il palco dell´Ariston. Intanto Bonolis, che nel 2005 dichiarava, che la vera musica "scorre altrove" anche quest'anno zitto zitto cacchio cacchio, si porta via il suo milione di euro e buonanotte ai suonatori.