mercoledì 3 dicembre 2008

Parole zoppe




La cosa disperante è l’assoluta e irrimediabile incapacità, nel riempire il termine. Non c’è politico di sinistra che non sbandieri il suo “riformismo”.Purtroppo è una spiegazione che non spiega niente. Termine di immediata comprensione quando serviva a distinguere, dentro la sinistra, chi voleva fare il socialismo nei campi e chi invece voleva farlo in Parlamento, oggi riformista è la parola più generica, zoppa e vuota dell’intera scena politica. Con rare eccezioni (il Papa, i Pooh, Vincenzo Mollica e pochi altri) non esiste in Italia chi non si dica riformista. "Sa, io sono riformista" è diventato il “gong” di qualunque discussione, e poiché l’interlocutore subito risponde "anch’io", ma cinque minuti dopo, litigano con la bava alla bocca su ogni possibile argomento, se ne deduce che la parola è del tutto insignificante se lasciata desolatamente sola. Del resto anche "riforme", che le dà origine, è appena un contenitore vuoto dentro il quale ciascuno può metterci quello che gli pare. Ci sono le riforme liberali, quelle socialiste, quelle in favore dei poveri come le Social Card e quelle in favore dei ricchi che sono quelli che le hanno prodotte. E pure le leggi razziali, a modo loro, furono una riforma. E dunque, rimango sempre più convinto, che chi mi dice di essere riformista è come quel rigattiere Parigino che tentò di vendermi una cornice senza farmi vedere il quadro. Non necessariamente un imbroglione. Certamente manchevole.