lunedì 26 gennaio 2009

Febbre da cavallo




Dopo avere rivalutato la Repubblica di Salò, il creazionismo e i mobili in formica, perché non rivalutare anche il razzismo? Basta uno sguardo a certi quotidiani come 'Il Giornale' e 'Libero', e subito si acquisiscono i primi rudimenti per una virile cultura neo-etnica, facendo piazza pulita del ciarpame politicamente corretto che rischia di trasformarci in un popolo di ricchioni. Sono del parere che questo Paese, in questo momento, abbia la febbre. Il margine tra le autorevoli preoccupazioni istituzionali e la xenofobia di territorio è vistoso se guardato dai politici in giacca e cravatta, ma è sottile, è ambiguo se visto dallo sguardo torbido degli esaltati, dei linciatori in potenza, dei fanatici dalle mani pesanti, dei capo-quartiere da marciapiede. Il razzista "di base" si sente un po’meno deprecato e un po’meno impopolare se approfitta della circostanza politica per farsi un po’di spazio nel suo territorio, se può sentirsi il valoroso anticorpo che attacca il virus arrivato da fuori. Il sindaco Alemanno e il governo nazionale, tra le varie emergenze affrontate con il piglio e l’entusiasmo della prima volta, hanno l’occasione (d’oro) di infilare in fretta e furia nel loro "pacchetto sicurezza" anche le insorgenze razziste, che sono tante, che sono contagiose, che sono insopportabili, e soprattutto sono (loro sì) qualcosa che infetta giorno dopo giorno il corpo sociale. Lo avvelena, ne catalizza gli umori neri, le paure più fonde e incontrollate. La destra ha il vantaggio di conoscere bene questo genere di odio: ognuno, in questo Paese, ha il suo album di famiglia. Usi dunque la sua esperienza, e la sua “nuova maturità di governo”, per intervenire prima che sia troppo tardi.