giovedì 30 ottobre 2008

Raffinatezze




Con aria triste e ormai rassegnata, per le ultime vicende politiche, vado a fare colazione in un bar del centro. Bimbetti di sei-sette anni, figli di benestanti almeno a vedere i loro vestiti e le loro facce d’angelo, si gridano “che cazzo vuoi” tra i tavolini, tessendo un fitto tappeto sonoro. Leggo buono e tranquillo il mio giornale e cerco di evitare la parte (risaputa) della morale che medita sui tempi degenerati. Per altro, qualche sera prima su un canale televisivo avevo seguito, di scorcio e per pura documentazione sociologica, un film d’azione americano, in prima visione, nel quale gli organi maschile e femminile, compresi i loro modi d’uso, le loro possibili collocazioni anatomiche, il loro stato di servizio, venivano evocati ogni cinque secondi da una sceneggiatura fatta al massimo di una decina di parole, la più elegante delle quali era culo. E dunque, perché mai gli infanti urlatori dovrebbero ricorrere a manzonismi, o rivolgersi al compagno di giochi come in un romanzo di fine ottocento o anche solo come in una conduzione di Scotti, quando la fonte alla quale si abbeverano non prevede variante alcuna? Stavo per alzarmi e suggerire ai piccini, tra le parole da loro predilette, di optare senz’altro per "culo", che è più allegro e meno discriminante, ma poi ho pensato che era meglio starmi zitto: i genitori avrebbero potuto fraintendere le mie intenzioni. Certe raffinatezze sono fuori corso, e presto la parola culo sparirà anche dai dizionari, un vero peccato, anche considerando quanto tutti noi ne abbiamo un enorme bisogno.